25.8.10

abitabilità





Quante volte avevo provato qualcosa del genere?


In questo consisteva la scelta di non condurre una vita sedentaria continuando a proiettarsi verso il domani.

Facevo i bagagli, preparavo oggetti e ricordi, andavo alla stazione o all'aeroporto sempre illuminata dalla stessa luce, sempre immersa nella stessa atmosfera.

Un pò tutto il mondo contro, un pò tutto il mondo dentro.

Mi riempivo, mi azzeravo.

Ma era solo un'ignota strategia per poter assorbire più stimoli, emozioni, sensazioni, colori e odori di ciò che mi circondava.

E quando mi svegliavo in un posto nuovo, mi sentivo sempre un pò stordita, incuriosita, ma al tempo stesso sollevata.

Sollevata di essere in un nuovo posto, in un nuovo e potenziale luogo chiamato "casa", in quello spazio in cui il mio corpo e la mia anima avrebbero trovato un riparo ed un'amplificazione adeguata, in cui l'ostilità o l'inadeguatezza mista alla critica distruttiva, venivano lasciati fuori.


E da qui nasceva la mia capacità di trasformare in

casa qualsiasi posto in cui mi trovo, ripensando al fatto che

non mi sono mai sentita pienamente a casa nel luogo che avrebbe dovuto

esserlo e quindi, non appena potevo, scappavo alla

ricerca disperata di quella sensazione di "abitabilità a misura

di me stessa" che tanto mancava.


Potrebbe essere così per tutti.

Ma per me, che vivevo alla ricerca di tutto questo, che mi spostavo alla disperata ricerca di una casa, era diverso. Era vitale. Era ossigeno.

E fare così tante esperienze in un arco limitato di tempo non faceva che evidenziarne la risonanza.


E il mio cuore ne gioiva.

Soprattutto quando trovava il luogo.




E un brivido mi scese lungo la schiena.