13.7.10

il sogno


Ti accendi d'un tratto una sigaretta, o forse l'avresti fatto se non avessi smesso di fumare, per te, per noi, per un sogno, per un ideale, un pò ti annoi un pò ti vergogni, ma sostieni che siamo ancora nei meandri di un amore.

In effetti, nessuno ci guarda, siamo uno nell'altra.

Soli, abbandonati ai nostri cuori.

Poi, mi accorgo che non mi hai sentito, anzi, non mi hai neppure visto.

Mi dò una mossa.

Penso al tuo volto rimasto in me, al tuo corpo che non ho potuto vivere, alla tua porta a cui non ho potuto bussare.

Perché dettagli così importanti che ho vissuto, che sono stata costretta a vivere, che siamo stati costretti a vivere, continuano sempre con te, con te solo e con te si accrescono e riprendono fiato.

Ma mi ricordo all'improvviso delle impossibilità e dei ritardi.

Mi viene quindi in mente una domanda che rimbalza in me senza tregua: avevo amato te oppure la tua eventualità che da anni mi insegue?


Nonostante una tale tempesta dentro di me, mi pareva di non poter cogliere alcuna reazione dal mio riflesso e, a tratti, temevo la mia stessa immagine, come se comunicassi a me stessa la notizia di un pericolo imminente, del morire in un amante.

Mi trovavo in un luogo del tempo e del cuore difficile da identificarsi.

Non volevo uscire da questa storia, non volevo abbandonarmi all'evidenza dei fatti, non volevo rassegnarmi alla realtà riflessa nello specchio del mondo.

Perché le illusioni del cuore erano le più gratificanti.

Avremmo potuto incontrarci ancora una volta, in quell'attimo di febbrile eternità in una città di cui non avremmo ricordato mai il nome e in una strada i cui tratti sarebbero svaniti con la luce del mattino.

Poi, facevamo l'amore in un letto enorme, fra lenzuola di cotone profumate di marsiglia.

E ci perdevamo nel nostro sogno, compenetrandoci.



Ricordi dalla nostra più bella storia d'amore.