17.5.10

giusto_ingiusto



Una piccola postilla sulla questione del giusto e dell'ingiusto.


Siamo convinti che il giusto debba essere giusto per tutti.

Ma siamo disposti ad immaginare che ci sia giusto quel che vuole il nostro egoismo?

E per quello siamo disposti/autorizzati a lottare?

Ci sono forse diversi livelli di giustizia? Uno valido per tutti e uno valido solo per il singolo?

Giustizia in quanto istituzione. Ma la legge e la sua applicazione è sempre giusta?

Esiste forse una giustizia superiore a qualsiasi legge? Da dove proviene? Quale cultura l'ha plasmata?


Abbiamo un'idea del giusto e dell'ingiusto, ma non sappiamo bene come definirli. Questo é il problema di grandi questioni che attraversano la nostra esistenza, ma di cui non siamo mai stati abituati a farne una verbalizzazione coerente.


Cosa spetta ad ognuno di noi?

Come dare ad ognuno ciò che si merita senza interferire nella presenza dell'altro? Senza procurare danno alcuno all'altra persona? A quell'altro così distante, così diverso da noi, ma allo stesso tempo così uguale e bisognoso di ascolto e rispetto come quello che pretendiamo noi ogni qualvolta ci relazioniamo al mondo.

L'idea del giusto è sempre relazionata alla presenza dell'altro: non può esistere una giustizia fatta per uno solo.

Così facendo, verrebbe meno il senso pieno della giustizia e il suo dispiegarsi a livello sociale.


Spesso le regole sociali-relazionali e di costume che si sviluppano nel corso del tempo non restano al passo con il dispiegarsi della società stessa e, quindi, sono passabili di un aggiustamento, di una loro possibile revisione-rivisitazione.

Anche se la legge non cambia tutti i giorni, ci sono buone ragioni per pensare che dovrebbe farlo.

Spesso, non vi è alcun aggiustamento possibile di questa giustizia che si dimostra essere, inevitabilmente, senza esattezza o senza aggiustamento.


C'è una sola cosa che è dovuto ad ognuno: l'amore.

Non solo l'amore delle storie d'amore, ma quell'amore che porta a considerare ciascuno nella sua essenza, nella sua completezza di persona piena e coerente, facendo qualsiasi cosa per quella persona, perché tutto le é dovuto.

E così facendo non si fa che innescare un meccanismo di ritorno in cui, anche a noi, tutto si trasforma in qualcosa di dovuto.

Essere giusti significa, in quest'ottica, essere coscienti del fatto che chiunque necessita di un riconoscimento.

Considerare, quindi, che una persona ha diritto ad un rispetto infinito che vada oltre il suo essere qualitativamente in questo o quest'altro modo.



E ora la finisco con le mie riflessioni mattutine e mi preparo ad immergermi in elucubrazioni altre sulla percezione dell'oggetto artistico.

In tutta la sua pienezza, bellezza, bruttezza, utilità, inutilità, ma costante capacità di scuotere il mondo e di consentire quella fatidica visione dell'altro lato del palazzo.

Anche se c'è qualcuno che, invece di attendere un resoconto, per vedere com'è quel palazzo, ci ha già fatto il giro attorno.


Grazie a Jean-Luc Nancy.


11.5.10

spiegazioni lineari



Ci piace la linearità, quanto é semplice la storia.

E come tutto è reale, senza fronzoli.

Non fanno che gesti elementari, necessari, tanto che alla fine il disparire del Cristo sembra un fare scontato, quasi una consuetudine.


Ci piace la linearità, ma non basterebbe a farci amare così tanto quella storia, che invece amiamo così tanto per un'altra ragione ancora: in tutta la storia, ognuno non sa.


Gesù sembra non sapere di sé, né della sua morte.

Poi loro, i due uomini, non sanno di lui né della resurrezione.

Alla fine si chiedono come hanno potuto non riconoscerlo, come hanno potuto.


Noi conosciamo quella domanda.

Come abbiamo potuto non sapere, per così tanto tempo, nulla di ciò che era, e tuttavia sederci alla tavola di ogni cosa e persona incontrata lungo il cammino?


Cuori piccoli, i nostri, che nutriamo di grandi illusioni, e alla fine, ci ritroviamo a camminare come ciechi discepoli a Emmaus, al fianco di amici e amori che non riconosciamo, fidandoci di un Dio che non sa più di se stesso.

Conosciamo l'avvio delle cose, ne riceviamo la fine, ma ne manchiamo sempre il cuore.


Aurora, però già epilogo, perenne scoperta tardiva di un cuore che ha appena smesso di battere.


Un giorno, arriverà quel gesto che ci farà capire.

Ma non è ancora giunto il nostro momento.

Per adesso, viviamo.


Ho cercato di spiegarlo al mio fidanzato affinché lui sapesse.

Non mi ha ascoltato.

Ha fatto finta.

Non mi ero spiegata.

L'ho ridetto.

Ci siamo capiti.


Per davvero?




Omaggio ad A.Baricco, Emmaus.


7.5.10

offeso

Perché prima o poi arriva quel momento in cui tutto perde senso.
Quel momento che hai sempre cercato o perlomeno sperato di poter rimandare.
Stamattina, quando ti sei alzato, stanco ma sempre euforico di vivere, in ritardo ma sempre con la voglia di arrivare lontano, non sapevi che oggi sarebbe stato proprio quel fottuto giorno.
Quel giorno in cui tutto assume un colore. Quello sbagliato.
In cui ogni maledettissimo sforzo che era stato fatto, si scopre essere stato indirizzato nella direzione sbagliata.
In cui le uniche persone che avrebbero dovuto essere presenti, incondizionatamente e calorosamente nella tua vita, si scopre che non hanno mai visto che loro stesse riflesse in te.
In cui ogni loro tentativo di avvicinamento, controllo, amore, altro non era che una loro mera gratificazione personale.
In cui la superficie sembra essere più ricca della profondità.
In cui le apparenze recitano da protagoniste.
In cui tutta la fatica rimane tale.
In cui ogni speranza si trasforma in rabbia e delusione.
In cui il pianto diventa la sola forma di comunicazione possibile.
In cui la stanchezza prende il sopravvento.

Proprio in quel momento, vaffanculo.

Vaffanculo perché infantile e perché sì.
Vaffanculo perché ne ho voglia.

Perché sono stanca di lottare contro fantasmi, perché quei maledetti mulini a vento rimangono tali anche alla luce del sole, perché non serve troppa immaginazione per sentirsi malati, perché la mia voce é ormai muta, perché scoppiare a piangere pervasi dalla sensazione di vuoto che lasciano alcune relazioni fa male anche in una tiepida notte di primavera, perché neanche la libertà del movimento riesce ad anestetizzare la costanza di un dolore che proviene da dentro e non se ne va, perché capire e comunicare la bellezza delle cose non serve se nessuno attorno a te parla la tua lingua, perché nulla ha valore se non è condiviso, perché allora ci si sente davvero soli.

In coppia, in famiglia, in società, fra amici, nella folla, nel mondo.

Perché coloro che abbandonano forse non colgono fino in fondo la portata di un tale gesto.
Perché la loro coscienza si ripulisce all'istante.
Perché la loro conoscenza non va mai troppo in profondità.
Perché la superficie costa meno fatica.
Perché su é sempre meglio che giù.
Perché sono incazzata e dico vaffanculo.
Perché voglio cambiare tutto questo, ma forse davvero non si può fare.
Perché là in fondo vedo una luce, ma loro, da quella fottuta caverna, non vogliono uscire.

E che ci restino.

Ma non smetterò di esprimere giudizi di valore.
Perché ogni cosa ha il suo peso.
Perché voglio capire e comprendere il senso della Vita e dell'Amore.
Perché non so per quale inconsapevole ragione siamo finiti qui, ma sento essere un dono fantastico, e solo chi ne ha intravisto la potenza, chi è abbastanza forte per confrontarvisi, chi ne accetta i potenziali rischi, vi si immerge.

Fino al collo.

Fino a soffocare.