22.1.10

relativismo




Un giorno venni accusata dalla persona il cui giudizio ha più valore in assoluto nella mia vita di essere una "relativista del cazzo".


Quel giorno iniziai a contemplare la possibilità di essere una persona vuota e priva di un qualsiasi senso, il cui agire e pensare non fossero altro che un accozzaglia di mezze teorie e fatti abbozzati, il cui cambiamento o totale sovversione si sarebbe potuto manifestare in qualsiasi momento, distruggendo così ogni ragionevole percezione del mondo e, di conseguenza, di me stessa.


Passai molti giorni in lacrime non riuscendo a dare un ordine e una spiegazione a tutto questo dolore, causato da una montagna di caos e insicurezze.


Oggi, dopo alcuni anni, qualche mese e molti giorni, mi rendo conto della ragione del mio smarrimento, di allora, e della mia (non ancora totale) pseudo-stabilità, di oggi.

Un equilibrio.

Non totalmente stabile perché manca ancora di alcuni elementi essenziali, in particolar modo di uno, ma pur sempre di una forma di sopravvivenza dall'oggi al domani e dal domani al dopodomani che mi consente di vivere plasmandomi ogni giorno di più sulla percezione di un io che, seppur timido e nascosto, vive.


Ma non divaghiamo e torniamo al nostro problema del relativo.

E dell'ancor più grande problema del non vivere come un peccato il fatto si sentirsi possibili relativisti.

E dell'immenso e forse insormontabile dramma del venire accusati di relativismo, sottolineandone l'accezione negativa, dalla persona che più si ama.


In questo modo, entrano però in gioco due variabili molto importanti nella considerazione della situazione: una coinvolge il problema della stima e della relazione affettiva presente con quella determinata persona ed il profondo senso di distruzione e auto-delusione che deriva da una tale affermazione, e l'altra riguarda invece il nucleo più profondo della questione che considera in che modo possa o meno venire spiegata, in maniera razionalmente sopportata, la bellezza, pluralità e coscienza del relativismo.


La grandezza di una tale filosofia, teoria o semplicemente, approccio alle cose, risiede nella possibilità di poter avviare alla conoscenza grazie alla sua intrinseca natura di messa in gioco, ribaltamento e riconsiderazione di ogni aspetto del mondo che ci circonda. Così facendo ci é permesso l'inizio di un percorso di ri-visione e di ri-flessione sullo spazio e sul reale che ci consente di stupire e stupirci ogni qualvolta ci guardiamo attorno, contemplando in essi la possibile verità e falsità di ogni teoria, evitando però di indirizzarci verso un magma informe di ipotesi e teorie, ma scorgendone lati nuovi ed insoliti che ci aiutino in una migliore comprensione dei sistemi e dei loro funzionamenti.


La base di una tale teoria e filosofia di approccio al reale risiede, a mio avviso, nella presenza, prima di tutto, di una forte coscienza del sé e della stabilità di alcuni punti fermi che sostengono, come un'invisibile armatura, la struttura della nostra persona permettendole così l'immersione totale nel paradiso possibilistico delle cose altre.

Se così non fosse, il relativismo e la sua natura, non farebbero che condurci sempre più al largo, togliendoci però, lentamente, ogni forza per poter tornare indietro, confondendoci sul significato stesso di terra ferma.


Oggi, che ho capito cosa mi tiene in piedi e cosa devo chiamare "terra", ciò che più vorrei, sarebbe salpare nell'immenso mare della conoscenza, dell'esperienza e della vita.


Con te.


Tu.

Tu solo.

Tu che mi hai aiutato a capire che la mia terra era dentro di me, ma senza la cui presenza, la mia spinta alla vita viene improvvisamente meno.


Sono quasi pronta.

Quando vuoi, se ancora ti va, partiamo.